Skip to main content
Istituto Di Ricerca e Formazione – Giorgio Magnano MD – Vittorio Magnano DDS, MSc, BSc

Lei stringe i denti? Breve analisi critica sul bruxismo

di Giorgio Magnano

Bruxismo è una parola di moda. Non al punto di  luogo comune, ma comunque a sufficienza per essere talvolta usata a sproposito. Si può dire che faccia parte di una delle tante patologie “sponsorizzate” di questa nostra civiltà del benessere. Cerchiamo quindi di fare un pò di chiarezza. Bruxismo significa strofinare i denti fra loro in assenza di esigenze masticatorie. In questo ambito occorre distinguere fra bruxismo vero e proprio e stringimento o serramento  dei denti, ossia stringere senza strofinare. In entrambi i  casi si tratta di una para-funzione, che significa una funzione “para” ossia “presso”, affiancata cioè alla funzione primaria di qualcosa che, nel caso dei denti, è masticare. Non è detto però che  una parafunzione sia  patologia. E’ innanzitutto una funzione secondaria. Stringere i denti è normale in determinate situazioni della vita, per esempio di pericolo o di tensione. Quando un animale si sente in pericolo, se può, scappa. Mette quindi in attività una serie di reazioni motorie essenzialmente flessorie. Il riflesso nocicettivo (attivato dal dolore) è un riflesso flessorio. Se  appoggiamo una mano a una stufa rovente, flettiamo il braccio per allontanare la mano. Se ci mordiamo la lingua apriamo di scatto la bocca con  un movimento che è flessorio.

Ma se l’animale non può fuggire, si prepara alla lotta stabilizzando innanzitutto la postura e quindi agendo sulla muscolatura  estensoria che in genere è antigravitaria: irrigidisce la schiena, stabilizza le gambe e stringe i denti, che è un movimento estensorio. L’animale non lo sa, ma tutto ciò è favorevole. Se dobbiamo lottare, la perdita dell’equilibrio e la caduta possono essere l’inizio della sconfitta. Se riceviamo un pugno a bocca ben serrata possiamo anche cavarcela senza gravi lesioni; ma se lo prendiamo  a bocca aperta i danni saranno ben maggiori. Quindi, in caso di pericolo, o fuga, o lotta.

Così se abbiamo qualcosa sui denti che ci da fastidio (può essere un residuo alimentare o un contatto imperfetto fra i denti che noi dentisti  chiamiamo “interferenza” o “precontatto” o, più estesamente “malocclusione”) o lo evitiamo (fuga) o ci digrignamo sopra nel tentativo di eliminarlo (lotta). Ecco  uno dei motivi per cui si consiglia il bite a chi digrigna i denti: per coprire eventuali interferenze o precontatti e per neutralizzare (fino ad un certo punto) malocclusioni. Ed ecco il motivo dei molaggi selettivi o addirittura delle riabilitazioni protesiche  che, tempo fa, si facevano ai bruxisti. Ma  ora non si fanno più. Perchè? Perchè si è visto che:

  1. Lo stringere i denti non sempre è patologia
  2. Lo stringere i denti è un comportamento dalla  genesi multifattoriale
  3. Lo stringere i denti non sempre crea danni.

Analizziamo in sintesi i tre punti.

  1. Lo stringere i denti non sempre è  patologia.

Ciò è vero innanzitutto nei bambini. In tutto il periodo della dentatura decidua e   mista (quindi fino verso i 12 anni) quasi tutti i bambini digrignano anche  in presenza di occlusione normale, specialmente durante il sonno e spesso in maniera  molto rumorosa. Lasciamoli digrignare. Non si mettono bite ai bambini.  La dentatura mista di per sè è instabile e talvolta fastidiosa, come fastidiosa è l’eruzione dei denti definitivi e la caduta dei decidui. Inoltre tutto il processo di sviluppo è uno stress, e abbiamo visto che una reazione normale  è un  ipertono della muscolatura masticatoria con effetto fissatorio. Smetteranno spontaneamente con la  completa eruzione della dentatura definitiva, a meno che, allo stress della crescita, non se ne sostituiscano altri  di origine sociale (scuola, conflitti famigliari, eccessive attività “sportive” o altro).

Da adulti stringere i denti in determinate occasioni di intensi impegni mentali o fisici è normale. Non si può pretendere di vivere sempre “a bocca aperta” o meglio ad arcate disgiunte (free way space) e nemmeno è possibile. Non è normale invece mantenere i denti a contatto anche in situazioni di calma e riposo. Alcuni soggetti non riescono proprio a staccare i denti e l’averli attaccati viene vissuto come una situazione di abituale spontaneità. Questo può essere patologico o può causare danni o disturbi. Passiamo a questo punto a commentare le successive due affermazioni.

 2) L’eziologia dello stringere i denti è multifattoriale.

Alla luce di quanto detto sopra l’affermazione appare evidente. Se lo stress è la causa del bruxismo e del serramento e qualsiasi cosa può essere fonte di stress se vissuta come un pericolo, e siccome un soggetto ansioso vive qualsiasi evento come possibile fonte di guai,  quanto più si è ansiosi, tanto più si tende a  stringere i denti. Se tutto è stress, tutto fa stringere i denti. E’ chiaro quindi che non ha senso fare molaggi o riabilitazioni agli ansiosi, o anche a chi, pur non essendo ansioso, sta vivendo un periodo difficile della propria esistenza. Il fatto poi che uno stress potrebbe anche essere di origine dentale, (eventualità peraltro non frequente e di difficile diagnosi) non modifica il discorso. Si eliminerà la causa dentale con l’intervento meno invasivo possibile e, possibilmente, reversibile. Ecco perchè, se la causa  fosse esclusivamente occlusale, il bite è preferibile al molaggio e ancor più a riabilitazioni protesiche. Se un soggetto ansioso ha una malocclusione e stringe i denti, si agirà sull’ansia prima che sulla malocclusione, riservando l’intervento dentale alla soluzione di  altri problemi, se ci sono (funzionali o estetici).

3) Lo stringere i denti non sempre crea danni.

I danni che può creare il bruxismo sono a  livello delle tre strutture che sono coinvolte nel comportamento: i denti, l’articolazione temporo-mandibolare (ATM) e i muscoli. I denti, innanzitutto, si consumano Ma sull’usura il discorso è complesso e non  facilmente sintetizzabile. Anche in questo caso, una certa usura delle superfici masticatorie (il tavolato occlusale) è normale. I denti si usurano anche con la masticazione e le normali funzioni fisiologiche. Essi vengono a contatto anche a riposo come minimo una volta ogni due minuti per l’automatica deglutizione della saliva, ossia circa 800 volte al giorno, già sufficienti, negli anni, a provocare una certa usura. Poi non si capisce per quale motivo si consideri fisiologica la scomparsa  per abrasione delle trilobature dei bordi incisali dei denti anteriori  ( i denti “a riso” dei bambini normali subito dopo l’eruzione) e talvolta non si tollerino piccole faccette di usura sui denti posteriori. Anzi, osservando i denti degli uomini preistorici, si nota spesso una notevole usura, dovuta probabilmente alla dieta meno manufatta della nostra, oltre al fatto, naturalmente, che anche loro avevano degli stress. Si potrebbe addirittura affermare che il destino autentico dei denti sia l’essere abrasi e che la relativa conservazione dell’anatomia occlusale nell’uomo contemporaneo, sia una conseguenza poco naturale di diete edulcorate dalla civiltà. Al giorno d’oggi l’abrasione  eccessiva dei denti crea  problemi estetici, quindi sociali, raramente funzionali e in genere limitati ad un’eventuale (e in genere veniale) sensibilità termica. In una dentatura completa, la riduzione di altezza anche notevole delle corone dentali, non provoca diminuzione della dimensione verticale, perchè la pressione sulle superfici occlusali crea più osso alveolare e basale di quanto smalto consumi, col risultato che la dimensione verticale perduta dalla riduzione di altezza della corona clinica, viene abbondantemente compensato con lo sviluppo di osso basale. In parole povere il dente compresso  (in modo forse anti intuitivo, ma dimostrato), estrude. Come risultato di questo meccanismo, i bruxisti  che hanno mantenuto tutta la dentatura,  non perdono dimensione verticale e inoltre hanno in genere un parodonto sanissimo e ben supportato da osso valido. Fermo restando che è ormai appurato che la responsabilità dell’occlusione sulla malattia parodontale è secondaria rispetto a quella della placca batterica e di fattori di rischio quali il fumo. L’unico problema serio a cui il dente può essere sottoposto in caso di grandi forze occlusali, è la frattura, specialmente di denti devitalizzati o ricostruiti  con perni endocanalari.

Sull’articolazione temporo-mandibolare (ATM) il carico eccessivo provoca tutti i danni comuni alle altre articolazioni del corpo, ossia usura abnorme e, col tempo, artrosi. In più nell’ATM (che è un’articolazione doppia con un compartimento articolare superiore distinto da quello inferiore dalla presenza del disco articolare) può facilitare la dislocazione antero- mediale del disco, con comparsa di rumori (click) e blocchi (locking). Il disco è collegato anteriormente al capo superiore del  muscolo pterigoideo esterno che, essendo sinergico (agonista) con i muscoli estensori della chiusura (massetere, pterigoideo interno e temporale), tira in avanti il disco durante lo stringimento favorendone la dislocazione anteriore. Ma il principale inconveniente del carico su un’articolazione è il dolore dovuto ad un meccanismo legato alla liberazione di fosfolipidi di membrana, come avviene nell’infiammazione, che aprono la cascata metabolica che genera prostaglandine e leucotrieni, responsabili del dolore. In qualsiasi condizione si trovi un’articolazione e in essa un menisco o un disco, se compare dolore, la prima cosa da fare è ridurre il carico: il peso sulle articolazioni soggette alla gravità (caviglie, ginocchia, anche e articolazioni intervertebrali), l’impegno masticatorio  e specialmente bruxismo e serramento nell’ATM.

A livello muscolare il danno è dovuto alla fatica: accumulo di acido lattico e riduzione dei periodi di pausa ristoratrice, con cronicizzazione di ipertoni e formazione di contratture, che fanno male. Tutto ciò può provocare cefalee e

cervicalgie muscolo-tensive e facilitare attacchi emicranici in pazienti predisposti. La riduzione e il controllo del bruxismo hanno sovente effetti benefici anche nell’emicrania classica con aura, un quanto se ne riduce la componente muscolo-tensiva.

Non sono ovviamente soltanto questi elencati i rischi che si corrono con un eccessivo serramento e questo va detto. Ce ne sono molti altri, di minor frequenza, ma possibili. Tuttavia mi preme sottolineare che stringere i denti ogni tanto, in alcune situazioni della vita, e stringerli anche un pò troppo, ma senza accusare alcuno dei sintomi e segni su esposti, non deve essere motivo di eccessive preoccupazioni, nè tantomeno spingere a rimedi invasivi e costosi. Spesso basta soltanto l’uso di un bite in determinati momenti della giornata o periodi della vita. Ma questo sarà oggetto di una prossima chiacchierata.

Mialgia localizzata come complicanza nella chirurgia degli ottavi: eziopatogenesi e trattamento

di Vittorio Magnano –

Immaginiamo il seguente scenario. Estraiamo un terzo molare incluso e durante la settimana successiva si sviluppa un’osteite. Questa diventa una fonte di costante dolore che, attraverso l’effetto eccitatorio centrale, produce una co-contrazione protettiva (splintaggio muscolare) del massetere e del muscolo pterigoideo mediale.  Il paziente ritorna dopo 5 giorni lamentando dolore.  All’esame clinico si manifesta una apertura limitata della bocca dovuta non solo alla procedura chirurgica e alla risposta  infiammatoria, ma anche alla risposta muscolare secondaria al dolore stesso, che quindi diventa completamente indipendente dall’origine primaria del dolore (l’osteite). Siamo entrati in un loop, un circuito a feedback detto “dolore muscolare ciclico”.  Se la fonte del dolore viene risolta rapidamente (cioè eliminata l’osteite), la co-contrazione protettiva viene risolta e il paziente riapre normalmente la bocca. Se la fonte primaria del dolore (l’osteite) non si risolve rapidamente, la prolungata co-contrazione può produrre essa stessa dolore, che quindi perpetua la co-contrazione protettiva e stabilisce una condizione ciclica di dolore muscolare. In tal caso, l’eliminazione della fonte originale di dolore (l’osteite) non eliminerà la condizione del dolore muscolare. Il trattamento dovrà ora essere diretto specificamente verso il disturbo del dolore muscolare masticatorio, che è diventato completamente indipendente dalla fonte originale di dolore. Questa condizione è detta mialgia. La mialgia è una condizione di dolore primaria, non infiammatoria e miogena.

Eziopatogenesi

L’eziopatogenesi è varia:

– Una prolungata co-contrazione che produce cambiamenti nel tessuto muscolare come affaticamento o ischemia, con conseguente produzione di sostanze algogene.

– Input di dolore profondo (che può portare a “dolore muscolare ciclico”)

– Trauma tissutale locale come lesioni localizzate (ad es. iniezioni, stiramenti), affaticamento muscolare straordinario (ad es. bruxismo, gomma da masticare)

– Stress emozionale

Le estrazioni degli ottavi inclusi rientrano nella eziologia traumatica tissutale e, qualora si scatenasse la mialgia, hanno una manifestazione del dolore che il paziente non riesce a distinguere fra la condizione infiammatoria che rientra nel normale decorso postoperatorio e l’instaurarsi del “dolore muscolare ciclico” (dolore/co-contrazione protettiva/mialgia localizzata/dolore etc.).

Manifestazione clinica

Clinicamente la mialgia localizzata si manifesta innanzitutto con una diminuzione della velocità e della gamma dei movimenti mandibolari che spesso però il clinico riesce a migliorare con dello stretching passivo. Il dolore del paziente migliora a riposo e peggiora con la funzione. Alla palpazione la zona non presenta turgidità ma una sensazione “soffice”.

Trattamento


L’obiettivo generale della terapia è quello di ridurre l’apporto sensoriale che può portare a dolori muscolari ciclici mediante:

1. Eliminazione di qualsiasi input sensoriale o propriocettivo alterato continuativo (consigliare di mangiare cibo morbido, masticare lentamente, dare morsi piccoli).

 2. Educazione del paziente e incoraggiamento all’autoregolazione fisica (Physical Self Regulation, PSR). Ad esempio, ridurre i movimenti della mandibola  entro limiti indolori, stimolare i propriocettori con un normale uso controllato della muscolatura, promuovere la consapevolezza/riduzione dello stress emotivo e infine incoraggiare la riduzione dei contatti dentali non funzionali (consapevolezza cognitiva).

3. Valutare l’eventualità di consegnare al paziente una placca di svincolo tipo “bite”.

 4. Considerare l’uso di analgesici blandi (ibuprofene 400mg, miorilassanti, ciclobenzaprina, [Flexeril] 10 mg).

Aspettatevi risultati in 1-3 settimane. Se la terapia non ha esito positivo, ciò sta a significare che o i fattori eziologici non sono stati controllati adeguatamente o vi è stato un errore nella diagnosi.  

Analisi dell’evoluzione del concetto di occlusione

di Giorgio e Vittorio Magnano –

Introduzione

I dolori orofacciali, i disagi cenestesici e le parafunzioni non sono più considerate conseguenze di disordini occlusali, bensì, quasi sempre, di natura centrale o addirittura genetica. L’occlusionismo si trasforma, per tanto, da teoria strutturalista in teoria funzionalista in quanto l’ambiente (occlusale, strutturale) propone, ma il sistema nervoso (funzionale) dispone in quasi assoluta indipendenza.

Continua a leggere

Occlusione su impianti: considerazioni per la pratica quotidiana

di Vittorio Magnano

Il clinico che si occupa di implantologia può incontrare dubbi e perplessità nella scelta del disegno della protesi che deve essere consegnata al paziente.

Gli scenari sono i più svariati: carico immediato, carico differito, carico precoce, full-arch, dente singolo, riabilitazioni a quadranti etc..

Continua a leggere

Gnatologia e Nichilismo

di Giorgio Magnano – 

Più o meno all’inizio del secolo scorso il filosofo e matematico inglese Alfred Whitehead  affermò che tutta la filosofia occidentale poteva essere considerata  una nota a piè pagina di Platone, o anche  un “graduale avvicinamento alle idee di chiarezza e generalità”.

In filosofia si può considerare sintesi estrema di chiarezza e generalità, “l’Uno”, ossia l’unità. La storia della filosofia è la ricerca dell’unità e della stabilità concettuale, e l’essenza del pensiero occidentale  è tutta e soltanto qui.

Continua a leggere