Il senso occlusale positivo – Un caso di coscienza: definizione
Di Giorgio Magnano e Vittorio Magnano
La trattazione si compone di cinque parti. Ne proponiamo quindi cinque puntate.
Per Senso Occlusale Positivo S.O.P. o anche P.O.S., acronimo dall’inglese Positive Occlusal Sense , si intende la percezione perenne dei contatti dentali vissuta come fonte di disagio e sofferenza. La revisione sistematica della letteratura di Hara e coll. – effettuata su PumMed, Cochrane Library e sui dati della IADR (International Association for Dental Research) – ha preso, come sinonimi, i termini:
occlusal dysesthesia (disestesia occlusale),
phantom bite (morso fantasma),
unconfortable bite (morso disagevole),
unconfortable occlusion (occlusione disagevole),
occlusion neurosis (nevrosi occlusale),
positive occlusal awareness (vigilanza occlusale positiva),
occlusal hyperawareness (ipervigilanza occlusale),
a cui si può aggiungere
consapevolezza o coscienza occlusale, termine non fra i più popolari, ma che, a nostro parere, meglio si adatta ad una interpretazione nosologica più originale e profonda.
In generale si tratta di un disturbo, non frequente, che insorge a seguito di cure odontoiatriche che includono l’occlusione dei denti totale o parziale e che spesso è indipendente dalla qualità ed accuratezza degli interventi stessi. Il paziente riferisce varie modalità di disagio occlusale per periodi che trascendono l’usualità conseguente a modifiche occlusali e che, come tali, regrediscono in pochi giorni. La letteratura definisce in sei mesi il limite fra normale adattamento occlusale e franca patologia, ma sovente la persistenza di disturbi al di la di qualche settimana deve essere interpretato come un allarme verso la rilevanza patologica del problema, specialmente se esistono segni di disturbi psicologici concomitanti (personalità con tendenze ossessive, stati d’ansia o depressione in atto o anche rilevati dall’indagine anamnestica, come vedremo)
La disestesia occlusale fu descritta per la prima volta nel 1976 da Marbach come “la percezione da parte del paziente di un’occlusione dentale irregolare anche quando il dentista non evidenzia alcuna irregolarità…”. Nella già citata revisione sistematica della letteratura di Hara e coll. si da la seguente definizione: “Una sensazione, persistente da almeno 6 mesi, di occlusione dentale non confortevole, la quale non corrisponde ad alterazioni fisiche rilevabili correlate all’occlusione, alla polpa dentale, al parodonto, ai muscoli masticatori o alle articolazioni temporo-mandibolari. Può esservi dolore concomitante, in genere di lieve intensità. I sintomi causano profonda sofferenza e inducono il paziente ad andare alla ricerca di trattamenti odontoiatrici”. Il disturbo può condurre a un insuccesso professionale o, in alcuni casi, a contenziosi medico-legali. A questo punto, prima di passare all’analisi dei vari aspetti più squisitamente clinici, è utile una breve premessa di carattere anatomico, fisiopatologico e psicodinamico. Si tratta di problemi di enorme complessità che spaziano dalla filosofia, all’antropologia, alla psicologia fino alle neuroscienze e che pertanto in questa sede dobbiamo ridurre a schemi di estrema sintesi. Un’osservazione biologica che si riallaccia all’ipotesi evolutiva è che, in molti aspetti della conoscenza umana, il fare precede il comprendere. Ma in medicina, al giorno d’oggi e con i mezzi a disposizione, cerchiamo di non agire.
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